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"Di là dal fiume e tra gli alberi": Il Valdarno è superiore?


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Una città lineare che si è sviluppata lungo la valle dell’Arno, lunga diciotto chilometri e abitata da centoventimila persone, fatta di tanti Comuni, ognuno con una forte identità e autonomia, ma in fondo tutti connessi: è il Valdarno. Lo racconta il documentario in prima visione Il Valdarno è superiore? di Guido Morandini, in onda domenica alle 22:00 su Rai5, che ripercorre a segmenti questi diciotto chilometri, dai pochi metri di un campo di basket alle centinaia e centinaia di metri degli insediamenti produttivi.

Nel Valdarno è ancora forte l’associazionismo, che va dalle parrocchie ai circoli bocciofili, dalle case del popolo alle piazze, che sono ancora centri di socialità tra le generazioni. Sono i giovani a raccontare lo spirito, la forza e il disagio di vivere in un lombricone urbanizzato che corre parallelo al fiume Arno. Volendo, l’autostrada o la ferrovia ad alta velocità portano lontano, ma pochi vanno via. Ci si sta bene tra il Chianti e il Pratomagno, cullati dal torpore delle nebbie, dal paesaggio curato, seppur eroso dagli insediamenti produttivi. Oggi non si va più via, come fece il Masaccio più di cinquecento anni fa seguendo il fiume o come hanno fatto molti fino agli Anni Ottanta.

Si resta qui, perché il Valdarno è superiore. Eppure, si registra una certa inquietudine stratificata nei giovani (non in senso anagrafico, ma come visione del Mondo). Tutti vivono un altrove fatto di arte, di scienza, di sport, di musica. Si lavora e si danza, si crea e si produce. Puoi essere un imprenditore tessile, ma tolta la giacca e indossato il chiodo diventi un musicista metal. Puoi essere allo stesso tempo un ingegnere di una grande industria elettronica e un profeta tecnologico che sogna di salvare il mondo dalla catastrofe ecologica. Un missionario cattolico e contemporaneamente un giocatore di calcio. O un ragazzo albanese che vive il Valdarno come la sua America rap.

Ci sono tutte le possibilità, ma bisogna sapersele costruire, come fecero cinquanta anni fa le giovani avanguardie artistiche che, in nome dell’emancipazione operaia, costituirono dei Collettivi presso i quali stampare opere d’arte per renderle accessibili anche alle classi meno ricche. L’arte entrò così nelle case popolari, che fino ad allora avevano visto solo immagini sacre. Una vera rivoluzione.



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